4 Marzo 2019

Sblocco dei cantieri, nodi vengono al pettine

Come avviene con cadenza periodica, in questi giorni il tema del rilancio dell’economia e degli investimenti è associato alla necessità di rivedere le norme che, sulla base di un assunto indimostrato e non discutibile, bloccherebbero i cantieri. Non si è sottratto a questa prassi neanche il governo Monti, che tra le norme cosiddette «Salva Italia» introdusse una modifica al Testo unico dell’edilizia (art. 16, comma 2-bis) che consente di sottrarre, dal campo di applicazione delle norme europee e nazionali in materia di appalti pubblici , l’esecuzione diretta da parte degli operatori delle opere di urbanizzazione primaria (strade, fogne ecc.) d’importo sino alla soglia comunitaria (più di 5 milioni di euro), funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio. Peccato che, a distanza di sette anni, i benefici derivanti dall’applicazione di questa norma non siano così apprezzabili ed evidenti. È certo che entro la fine di marzo il governo dovrà fornire chiarimenti alla Commissione europea per prevenire un deferimento del nostro Paese alla Corte di giustizia.

La Commissione contesta che le amministrazioni aggiudicatrici italiane diano un’interpretazione della norma non conforme a quanto stabilito dalla direttiva 2014/24/Ue, anche per effetto delle indicazioni fornite loro dall’Anac con le linee guida n. 4 della delibera n. 206/2018. A giudizio della Commissione, la norma viene interpretata in modo da non dover considerare, per individuare il relativo importo e la successiva aggiudicazione, il complesso delle opere di infrastrutturazione connesse agli interventi di trasformazione urbanistica del territorio come un insieme non frazionabile, anche nel caso di affidamento attraverso più appalti distinti. Per la Commissione la norma viene interpretata in modo da «scorporare» dall’importo complessivo delle opere di infrastrutturazione, delle quali gli operatori devono farsi carico, quello riguardante le opere di urbanizzazione primaria realizzabili senza applicare il Codice dei contratti, e dunque procedendo a frazionamenti elusivi.

L’Anac si è detta pronta a rivedere l’interpretazione della norma fornita nella delibera dell’anno scorso, alla luce della quale la Commissione ha finito per considerare pregiudicata la scelta del legislatore di riformulare (con il decreto correttivo) l’art. 36, comma 4, del codice dei contratti stabilendo che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 16 comma 2-bis, e in particolare per calcolare l’importo delle opere e verificare il superamento o meno della soglia comunitaria, devono trovare applicazione le norme anti-frazionamento artificioso contenute nella direttiva 2014/24/Ue e recepite nel nostro ordinamento con l’art. 35 del codice. Il governo probabilmente tenterà di difendersi esibendo alla Commissione una correzione della delibera Anac n. 206/2018.

Vedremo se basterà. Certo è che sarebbe più appropriato prendere atto dello scopo con il quale era stato formulato l’art. 16, comma 2-bis, e sopprimere la norma, archiviando il tentativo di definire un regime giuridico non soggetto alle direttive Ue recepite nel Codice dei contratti (una sorta di zona franca) per le cosiddette «opere di urbanizzazione primaria funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio», visto che la cosa non è sfuggita al regolatore europeo dal quale ci si voleva mettere al riparo.

Fonte: Italia Oggi