Costruttori e Comuni chiedono di ridurre i tempi di realizzazione, che arrivano a 15 anni
Molte prescrizioni non sono volute dalla Ue Non si era mai visto finora che l’Anci, l’associazione dei Comuni, e l’Ance, quella dei costruttori, arrivassero a stilare una proposta unica di modifica del codice degli appalti. Eppure i due soggetti, che di solto stanno su opposti fronti della barricata, essendo gli uni i committenti e gli altri gli esecutori, hanno effettivamente creato un documento inviato al governo con le proposte per snellire e rilanciare le infrastrutture. Al contempo, anche Utilitalia, l’associazione delle utility, ha elaborato tre proposte minime per uscire dalle secche: la principale è l’abolizione dell’articolo 177, non previsto dalla normativa comunitaria, che ha introdotto l’obbligo per le utilities di affidare tutte le attività interne di gestione a soggetti esterni con gara, con implicazioni sull’occupazione e l’efficienza dei processi e senza una comprensibile logica nella prospettiva degli appalti.
Ma il punto è che oggi, per un motivo o per l’altro, è tutto bloccato. «Il problema vero spiega Gabriele Buia, presidente dell’Ance – è il fattore tempo. Non è possibile pensare che ci vogliano 15 anni per completare un’opera dal momento dell’autorizzazione». Inoltre, poiché i Comuni per spendere i soldi devono attendere di riceverli, e ci vuole molto tempo, il presidente dell’Ance propone «di creare un Fondo rotativo nazionale che permetta agli enti locali più efficienti di mandare avanti le opere». C’è poi il caso Anac, l’authorithy anticorruzione: nel corso del tempo, da ente che controlla si è trasformato in ente che introduce norme: «I funzionari pubblici hanno paura e domandano all’Anac pareri su pareri – dice Buia – . Secondo noi deve limitarsi a un ruolo di vigilanza, non regolatorio». Una posizione condivisa anche da altri. Il tema più importante sarebbe infine quello di far finanziare le infrastrutture dagli investitori istituzionali, non solo italiani: «Ma per far questo – dice Federico Merola, docente di International project finance alla Luiss – occorre intervenire con una visione strategica chiara passando ad un nuovo PPP istituzionale e sociale e superando le riserve degli investitori internazionali, modificando le norme di conseguenza».
Fonte: Affari e Finanza
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