3 Dicembre 2018

Prevenzione incendi/1. Cambiano (dopo 20 anni), le norme per i luoghi di lavoro

Tutte le novità del testo approvato dal comitato tecnico-scientifico sulla prevenzione incendi, destinato a sostituire il Dm del 1998

È stato approvato nella seduta del 28 novembre del Comitato centrale tecnico scientifico per la prevenzione incendi (Ccts) del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l’attesa bozza di decreto con la quale vengono aggiornati i criteri per la valutazione del rischio antincendio e la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro. Si tratta, nello specifico, del regolamento destinato a sostituire lo “storico” decreto 10 marzo 1998. L’emanazione del provvedimento era stata prevista, dieci anni fa, dal cosiddetto “testo unico” sulla sicurezza, ossia dal Dlgs 81 del 2008. Più volte, negli anni, si era arrivati ad abbozzarlo, ma negli ultimi mesi il testo è stato elaborato e poi emendato, fino ad arrivare in pochissimo tempo alla versione concordata del 28 novembre. Un’accelerata che il provvedimento non aveva mai conosciuto. 

La bozza, ormai delineata dai Vigili del Fuoco, stabilisce i criteri da seguire sia per valutare il rischio incendio all’interno dei luoghi di lavoro che per stabilire le conseguenti misure da adottare per ridurre la probabilità di innesco e per contenere le conseguenze in caso di incendio. Sono comprese, ovviamente, le misure organizzative e gestionali da attuare, che comprendono l’eventuale stesura del piano di emergenza e la designazione e la formazione degli addetti al servizio antincendio. Rispetto alla versione della bozza di decreto presentata nella seduta del 10 luglio scorso, in sede di Ccts, la struttura del testo è stata molto semplificata, passando da 60 a 42 pagine. In particolare, vengono accorpati in un unico capitolo i criteri di prevenzione incendi e le misure di protezione per le attività non normate (prive di regola tecnica), soggette o non soggette al controllo da parte dei Vigili del Fuoco. Va ricordato che le cosiddette “attività soggette” sono quelle individuate dal Dpr 151 del 2011 (allegato I). 

L’iter nel comitato tecnico e i prossimi step
La semplificazione della bozza è arrivata in sede di Ccts con il pressing delle categorie professionali «unite e solidali», afferma Marco Di Felice, componente del Ccts e membro del gruppo di lavoro “Sicurezza” del Consiglio nazionale degli ingegneri. Proprio per mezzo del suo gruppo di lavoro, guidato dal consigliere Gaetano Fede, il Cni aveva portato avanti una contestazione radicale del testo, inviando a settembre una lettera al Capo del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, Gioacchino Giomi. Oltre alla semplificazione del testo, si chiedeva che il decreto andasse a inglobare i metodi e i principi più moderni propri del Codice di prevenzione incendi (Dm 3 agosto 2015). Seppure la bozza di regolamento conservi un’impostazione prescrittiva, qualche apertura, seppure scarsa, verso concetti più moderni c’è stata (si veda oltre). Oltre ad una struttura più snella, inoltre, vengono meglio precisati alcuni concetti chiave, come il rapporto tra la nuova norma e le attività dotate di regola tecnica. In pratica, escludendo le sole attività con «spiccate finalità impiantistiche», se un’attività ha la sua regola tecnica di prevenzione incendi va seguita quella, salvo poi riferirsi al nuovo decreto per ciò che riguarda le misure gestionali. «Laddove il luogo di lavoro coincida con una attività normata (o rientri nell’ambito di una attività normata) – si legge nella bozza – devono essere applicate le regole tecniche pertinenti, integrate con le misure gestionali dell’allegato III». «Era un concetto quasi implicito, ma non era sancito chiaramente, abbiamo voluto che fosse scritto bene», riferisce ancora Di Felice. Tale principio va a incidere pesantemente sul campo di applicazione del nuovo Dm, considerando che nel novero della attività normate, oltre a quelle dotate di regola tecnica prescrittiva, vanno aggiunte le attività che rientrano nel campo di applicazione del Codice, comprese le 34 “ex non normate”. Ora la bozza di Dm deve passare al vaglio del ministero del Lavoro (si tratta di un decreto interministeriale), che dovrebbe sovrintendere al coordinamento col Dlgs 81 del 2008. 

I contenuti/1. Campo di applicazione 
In linea con quanto previsto dall’attuale normativa, il futuro decreto interministeriale si applicherà ai luoghi di lavoro. Questi sono intesi come luoghi interni alle aziende, alle unità produttive e alle relative pertinenze, accessibili ai lavoratori (la definizione è quella dell’articolo 62 del Dlgs 81 del 2008). Non solo, limitatamente alle disposizioni che riguardano la nomina degli addetti antincendio e la loro formazione (capitolo che riserva corpose novità), è prevista l’applicazione del Dm anche ai cantieri e agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. Rispetto al Dm 10 marzo 1998, una delle novità risiede nell’aver previsto misure per la progettazione delle vie di esodo, per l’estinzione degli incendi e per l’individuazione dei sistemi di segnalazione e di allarme, da applicare anche alle attività soggette a controllo da parte dei Vigili del Fuoco e non dotate di specifica norma antincendio (per queste attività il Dm 10 marzo costituiva comunque un riferimento). Si tratta di una categoria che con l’entrata in vigore del Codice si è assottigliata. Dunque, per quanto riguarda i criteri di prevenzione e le misure di protezione inserite nel nuovo testo, questi trovano nelle attività “non soggette e non normate”, ossia quelle a minor rischio incendio, il loro campo principale di applicazione.

I contenuti/2. Impianti e depositi
Rispetto alle attuali disposizioni, un’altra novità riguarda i luoghi di lavoro che hanno soprattutto finalità impiantistiche, non frequentati assiduamente dai lavoratori, ma oggetto solo di «sporadiche operazioni di controllo/verifica». Si tratta di una macro-categoria, che include, ad esempio, depositi e impianti per la produzione o il trasporti di gas e liquidi infiammabili, impianti per la produzione di calore o per la produzione (o trasformazione) dell’energia elettrica. A queste attività la bozza riserva particolare attenzione, in quanto stabilisce che le regole di prevenzione incendi ad esse applicabili vanno integrate, non solo con le disposizioni relative alla gestione della sicurezza, ma anche con le quelle di prevenzione e protezione che la stessa bozza riserva alle attività non normate. 

I contenuti/3. Piano di emergenza (anche con meno di 10 lavoratori)
La redazione del piano di emergenza resta obbligatoria per tutte le attività soggette a controllo da parte dei Vigili del Fuoco e per i luoghi di lavoro con meno di 10 lavoratori. Indipendentemente dal numero dei lavoratori, il piano di emergenza diventa un obbligo nei luoghi di lavoro aperti al pubblico «caratterizzati dalla presenza contemporanea di più di 50 persone». Per tali attività, purché non rientranti tra quelle elencate nel Dpr 151 del 2011, viene previsto un piano di emergenza semplificato nei contenuti. 

I contenuti/4. Valutazione del rischio incendio da aggiornare entro 5 anni
Per i luoghi di lavoro esistenti alla data di entrata i vigore del nuovo decreto, la valutazione del rischio incendio (parte integrante del Dvr) andrà aggiornata alla nuova normativa nel caso si verifichino le condizioni in base alle quali il Dlgs 81 del 2008 (art. 29 comma 3) impone la revisione della valutazione dei rischi. Questo sempre che le eventuali modifiche al processo produttivo o all’organizzazione del lavoro, gli eventuali infortuni o il grado di evoluzione tecnica, e le altre condizioni citate nell’articolo 29 del “testo unico”, riguardino il rischio incendi. In ogni caso, stando alla bozza, l’aggiornamento della valutazione del rischio incendio e il conseguente adeguamento delle misure preventive, protettive e gestionali, va fatto entro cinque anni dall’entrata in vigore del nuovo decreto.

I contenuti/5. La formazione: in arrivo requisiti ad hoc per i docenti
Innovazioni di rilievo arrivano sul fronte della formazione. Per la prima volta vengono definiti i requisiti e i titoli che devono possedere i docenti dei corsi di formazione e di aggiornamento per addetti antincendio. In particolare, per i formatori nasce un’abilitazione ad hoc, che si raggiunge frequentando corsi tenuti dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco e superando i relativi esami. Di norma, per ricoprire il ruolo di formatori per la parte teorica e pratica dei corsi per addetti antincendio, il percorso prevede la frequenza (con esito positivo) di un corso di 60 ore. Per insegnare la sola pratica, le ore di formazione per i docenti si riducono a 28 ore. I contenuti minimi dei corsi abilitanti sono definiti nel dettaglio nella bozza di decreto. Sono esonerati dai corsi di 60 e 28 ore coloro che abbiano una documentata esperienza di formatori. In particolare, per essere dispensati, bisogna avere all’attivo almeno 90 ore di formazione in qualità di docenti in corsi antincendio. Uno “sconto” arriva anche per i professionisti iscritti nelle apposite liste del Viminale. Questi possono “di diritto” tenere corsi teorici, senza cioè doversi abilitare, ma, per trasmettere agli addetti i contenuti pratici, devono accumulare ore di formazione, in tutto 12 (erano 28 nel testo presentato a luglio). Abilitarsi, però, non basta: i docenti, compresi quelli dispensati dal percorso abilitante, devono aggiornarsi con cadenza almeno quinquennale. In cinque anni i docenti dei corsi teorico-pratici devono accumulare 16 ore di formazione. Per chi insegna solo la parte teorica tali ore scendono a 12. Diventano otto nel caso di docenti abilitati all’erogazione dei soli moduli dal contenuto pratico. I corsi e i seminari per il mantenimento dell’iscrizione all’elenco del ministero dell’Interno sono validi per conservare l’abilitazione alla docenza dei soli moduli teorici del corso per addetti antincendio.

I contenuti/6. I corsi di aggiornamento per addetti antincendio
Resta fissata a 4, 8 e 16 ore la durata minima dei corsi per addetti antincendio, variabile, dunque, a seconda del rischio incendio derivante dal Dvr. Nelle tre tipologie di corso, compresi quelli di 4 ore, è obbligatoria l’esercitazione pratica per l’utilizzo di mezzi estinguenti. Ad esclusione di ciò, i contenuti minimi dei corsi di formazione per addetti antincendio non variano. La novità maggiore risiede nell’aver definito i contenuti minimi dei corsi di aggiornamento per gli addetti al servizio antincendio, che, in relazione al rischio, possono durare due, cinque o otto ore. L’aggiornamento va completato almeno ogni cinque anni.

I contenuti/7. Il rischio zero e i metodi prestazionali
Come suggerito dagli Ingegneri, la bozza di Dm recepisce alcuni concetti prelevati dal Codice. Sono le cosiddette ipotesi fondamentali poste alla base della normativa prestazionale del 2015, riassunte in due concetti: il rischio di incendio di un’attività non può essere ridotto a zero; e, in condizioni ordinarie, l’incendio di un’attività si avvia da un solo punto di innesco. Riguardo alla normativa prestazionale, un’importante apertura all’innovazione viene introdotta rispetto alla bozza di luglio. In particolare, quanto alle attività non normate, è possibile utilizzare metodologie prestazionali per definire la strategia di prevenzione incendi e per progettare le vie di emergenza nel caso le misure contenute nel decreto che andrà a sostituire il Dm 10 marzo 1998 non possano essere rispettate (per la definizione del numero e della larghezza delle uscite di piano e delle scale, il decreto conserva il metodo per moduli contenuto nel Dm 10 marzo 1998).

Fonte: Edilizia & Territorio

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