27 Settembre 2018

L’ingegnere inascoltato che avvisò Autostrade ” Le travi non reggono più”

MARCO MENSURATI FABIO TONACCI

Nelle 62 obiezioni al progetto di ristrutturazione del ponte Morandi presentato da Autostrade nel 2017, sollevate da un ingegnere della stessa società e, adesso, contenute in un documento riservato allegato alla relazione finale della “Commissione Toninelli”, c’è, secondo i tecnici del ministero delle Infrastrutture, la Prova. La prova che gli “uffici preposti” erano a conoscenza che il viadotto non stava più in piedi. La prova di un pasticcio sulle verifiche antisismiche obbligatorie. La prova, infine, della violazione di una norma cruciale (l’articolo 26 sulle verifiche preventive) del Codice degli Appalti. L’esito dei test La Commissione, coordinata dall’ingegner Alfredo Principio Mortellaro e composta dagli ingegneri Camillo Nuti, Ivo Vanzi, Gianluca Ievovella e dal consigliere della Corte dei Conti Francesco lombardo, ha recuperato un documento finora inedito. Si tratta dell’esito dei test fatti da Spea (società del gruppo Atlantia, che controlla anche Autostrade) sulle travi del Morandi su cui poggiava la strada. «La verifica non è soddisfatta», come dimostra la tabella “St002” che riporta una sfilza di cifre inferiori a 1, l’indice sotto il quale una struttura rischia di crollare perché non sostiene più il peso per cui è stata progettata. In particolare, alle prove della Spea, alcune travi del Morandi dettero come risultato 0,58. In pratica, la resistenza si era dimezzata. «Si tratta — scrive la Commissione — di valori del tutto inaccettabili, cui doveva seguire un provvedimento di messa in sicurezza improcrastinabile».
Le verifiche fatte in casa La tabella della Spea è allegata al progetto esecutivo della ristrutturazione delle pile 9 (quella crollata) e 10 che il cda di Autostrade approvò il 12 ottobre 2017. Secondo il Codice degli appalti, però, quel progetto avrebbe dovuto prima essere certificato da un organismo esterno, perché superiore di 159.344 euro, al tetto dei 20 milioni. Norma che, secondo la Commissione, Autostrade ignorò deliberatamente. Tant’è che incaricò della certificazione un interno, l’ingegner Claudio Bandini. A lui arrivò da Paolo Strazzullo (Responsabile unico del procedimento per Autostrade) e dal progettista di Spea Massimiliano Giacobbi tutto l’incartamento del progetto esecutivo, compresa la tabella St002. Il suo compito era di scrivere un rapporto di validazione. E però, l’ingegner Bandini, quando vide quelle cifre, si spaventò.
Le obiezioni di Bandini Rimandò l’incartamento ai mittenti, senza validarlo, ma accompagnandolo con 62 osservazioni e domande. La prima, quella che più gli premeva e che più rischia di rilevare ai fini anche dell’inchiesta penale, era la seguente: il contenuto di questo progetto è stato trasmesso al direttore di Tronco a Genova ed è stato concordato con gli uffici centrali e periferici di Autostrade? La risposta, «evasiva e non concludente» per dirla con le parole della Commissione, fu che l’aveva già visto chi lo doveva vedere. I non meglio precisati «uffici preposti».
L’osservazione numero 14 di Bandini riguardava una considerazione di buon senso. Visto che il ponte dai test risultava interamente malmesso, l’ingegnere chiese per quale motivo si stessero
limitando a un intervento sulle pile 9 e 10. Risposta: «Gli interventi di ripristino della rimanente parte dell’impalcato saranno oggetto di successivo appalto». Ma l’ingegner Bandini fece un’ulteriore osservazione, questa volta sulla parte strutturale dell’intervento, chiedendo se anche quella doveva essere oggetto della sua verifica.
Rimediò, sia pure in burocratese, una rispostaccia: «L’intervento sugli stralli costituisce un’attività estremamente specialistica, il cui sviluppo si traduce in scelte costruttive e dimensionali fortemente presidiate in fase di progettazione. Pertanto non si ritiene necessario intervenire sugli aspetti sopra menzionati». In altre parole, Bandini si doveva fare gli affari suoi. Commenta così la Commissione: «Tale disposizione del Rup nega i principi e le finalità stesse del processo di verifica, inficiandone la formulazione finale». Nonostante i dubbi, irrisolti dopo il carteggio, Bandini dette l’ok al progetto.
Il documento mancante Tra le sue osservazioni, vane, ce ne è una che la Commissione ha tenuto a sottolineare.
La numero 3. Dove Autostrade scivola su una bugia. Bandini chiese se i progettisti fossero in regola con gli adempimenti in zona sismica.
Risposta: «Gli adempimenti sono in corso». Però la Commissione ha scoperto un’incongruenza. Nel 2003, dopo il terremoto del Molise, la Presidenza del consiglio ordinò la mappatura del territorio nazionale per verificare lo stato delle infrastrutture strategiche.
Con priorità per quelle nelle zone ad alto rischio sismico, classificate 1 e 2. Genova è in zona 3 e 4, rischio moderato. La Commissione contesta ad Autostrade che non esiste documento che attesti la verifica del ponte Morandi. La società, dopo la diffusione della relazione, si è difesa dicendo che quel documento non era necessario, in quanto il viadotto non era in zona a rischio. Ecco l’incongruenza: Autostrade dà tre versioni diverse dello stesso fatto.
La prima, del 23 giugno 2017: Autostrade con una nota comunica alla Direzione generale di Vigilanza sulle concessionarie autostradali, quindi al ministero, che gli adempiementi sismici «sono stati effettuati». La seconda, quella offerta all’ingegner Bandini: «Sono in corso». La terza, quella sostenuta due giorni fa da Autostrade: «Non erano necessari».

Fonte: La Repubblica

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