17 Dicembre 2018

Infrastrutture, la Corte Costituzionale boccia i veti delle Regioni

Stop alla legge della Regione Puglia che introduce regole speciali per il dibattito pubblico

Le Regioni non possono utilizzare i propri poteri per bloccare la realizzazione di un’opera pubblica di rilevanza nazionale per un tempo indefinito. È questa una delle motivazioni che hanno portato la Corte costituzionale a bocciare ieri un pezzo molto rilevante della legge pugliese n. 28 del 2017 (clicca qui per la sentenza), anche nota come «legge sulla partecipazione», una delle norme manifesto del governatore Michele Emiliano.

Poche settimane fa lo stesso presidente della Regione aveva chiesto al premier, Giuseppe Conte di rinunciare all’impugnativa, frutto di un’iniziativa del’esecutivo Gentiloni, spiegando che «se fosse stata applicata in passato una legge sulla partecipazione, siamo certi che conflitti come quello determinatosi sulla scelta dell’approdo Tap, si sarebbero potuti evitare, concertando la soluzione migliore per questa opera strategica». La legge 28/2017, infatti, non sarebbe stata applicabile al gasdotto, ormai in fase troppo avanzata, ma in caso di conferma della Consulta sarebbe stata utilizzata in futuro per situazioni simili.

Il punto contestato dal Governo riguardava la possibilità di attivare un «dibattito pubblico» (cioè, il coinvolgimento dei territori in fase di progettazione di un’infrastruttura) per alcune opere nazionali «per le quali la Regione Puglia è chiamata a esprimersi». Tra queste rientrano infrastrutture stradali e ferroviarie, elettrodotti, impianti per il trasporto e lo stoccaggio di combustibili, porti, aeroporti, dighe, reti di radiocomunicazione, trivellazioni a terra e a mare. Stando a questo assetto, quando la Regione fosse stata chiamata a emanare un qualsiasi atto collegato all’intervento, avrebbe potuto sospendere il suo procedimento, congelando l’opera, in attesa della consultazione popolare.

Per la Consulta, però, ci sono almeno due problemi. Il primo è che, a maggio scorso, il Dpcm 76 del 2018 ha disciplinato una procedura nazionale di dibattito pubblico. Si tratta – spiega la sentenza – «di una disciplina esaustiva dell’istituto»; per questo «è da escludere che soggetti diversi da quelli individuati possano prendere l’iniziativa». Vengono, insomma, invase le competenze statali.

C’è, però, un secondo problema, più sostanziale. La consultazione popolare nazionale, infatti, è stata organizzata cercando «un punto di equilibrio» tra le esigenze della partecipazione e quelle dell’efficienza. Resta, cioè, fondamentale evitare «un ingiustificato appesantimento dell’intera procedura» che porta a realizzare gli interventi. Il potere di sospendere l’emanazione degli atti della Regione, in attesa della consultazione popolare, consente di fatto «di bloccare la realizzazione dell’opera per un tempo indefinito». Un assetto normativo «preoccupante», per la Consulta, che viola il principio di buon andamento della Pa. Ed è per questo incostituzionale.

Fonte: Edilizia e Territorio

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