Il decreto Genova istituisce la banca dati digitale delle opere pubbliche: vediamo come funziona e a cosa serve, mentre la Riforma del Codice Appalti slitta al 2019 in attesa dell’indagine conoscitiva del Senato. E l’Anac esclude l’obbligo telematico per le gare sotto i mille euro

Fonte: Agenda Digitale

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Il Tar Campania – con argomenti convincenti – va contro la “linea dura” dell’Anac sul principio di rotazione nelle procedure negoziate. Pro e contro

Ai fini dell’affidamento di un appalto di servizi sottosoglia il gestore uscente può legittimamente essere invitato alla relativa procedura negoziata, non essendo di ostacolo l’esistenza del principio di rotazione previsto dal legislatore. In questi termini si è espresso il Tar Campania, Sez. I, 5 novembre 2018, n.1574, con una pronuncia che si pone in controtendenza rispetto alla giurisprudenza prevalente secondo cui l’applicazione del principio di rotazione comporta che l’invito al gestore uscente riveste carattere eccezionale, essendo limitato alla ricorrenza di specifiche condizioni e dovendo comunque essere accompagnato da una motivazione stringente.

Il fatto
Un ente appaltante aveva bandito una procedura negoziata ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera b) del D.lgs. 50/2016 per l’affidamento del servizio di fornitura di bevande e alimenti attraverso distributori automatici, di importo inferiore alla soglia comunitaria. 

A fronte dell’intervenuta aggiudicazione a favore del gestore uscente, il concorrente secondo classificato proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo adducendo la ritenuta violazione del principio di rotazione che, se correttamente applicato, avrebbe dovuto comportare il non invito del gestore uscente medesimo. 

La posizione del Tar Campania
La tesi del ricorrete è stata respinta dal giudice amministrativo, che ha conseguentemente rigettato il ricorso. Nella sentenza si afferma che il principio di rotazione non può comportare la regola generalizzata del divieto di invito del gestore uscente, dovendo piuttosto essere interpretato come obbligo di non favorire quest’ultimo. 

Nel caso di specie non vi è stato alcun trattamento di favore nei confronti del gestore uscente. Infatti, in primo luogo la procedura negoziata è stata aperta al mercato, essendovi stato un avviso pubblico con cui si invitavano gli operatori a manifestare il loro interesse all’affidamento dell’appalto. In secondo luogo, a fronte delle manifestazioni di interesse pervenute, vi era stato un sorteggio pubblico dei cinque concorrenti da invitare a formulare la loro offerta, con un meccanismo che, proprio perché basato sul sorteggio, risultava ispirato alla massima imparzialità. 

Se c’è un sorteggio, non si giustifica il mancato invito dell’operatore uscente
Una volta adottate queste modalità di svolgimento della procedura non può trovare spazio, secondo il giudice amministrativo, la tesi secondo cui il principio di rotazione deve necessariamente comportare il mancato invito del gestore uscente. Un’interpretazione di questo tipo, di tipo rigido e avulsa dal quadro complessivo di funzionamento della procedura negoziata, si pone in contrasto con il principio della tutela della concorrenza, su cui è incentrato tutto il sistema di disciplina degli appalti pubblici. 

Il principio di rotazione, cosa dice il codice e cosa dice l’Anac 
Nell’ambito dell’articolo 36 del D.lgs. 50 il principio di rotazione viene evocato più volte. 

Il comma 1 stabilisce in termini del tutto generali che l’affidamento e l’esecuzione dei contratti di importo inferiore alle soglie comunitarie devono avvenire, tra l’altro, nel rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti. Il medesimo principio di rotazione viene poi richiamato alle lettere b) e c) del comma 2 in relazione agli inviti alla procedura negoziata, essendo stabilito che la consultazione debba avvenire tra un numero minimo di concorrenti (cinque o dieci, a seconda dell’ importo del contratto da affidare), individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi, ma sempre nel rispetto del criterio di rotazione degli inviti. 

La problematica relativa all’invito del gestore (o contraente) uscente si trova disciplinata non nella legge ma nelle Linee guida Anac n.4, nella versione aggiornata al 1 marzo 2018, relative agli affidamenti dei contratti sottosoglia. Nelle richiamate Linee guida viene indicata la regola secondo cui il gestore uscente non può essere invitato alla procedura negoziata finalizzata all’affidamento del nuovo contratto avente il medesimo oggetto né, a maggior ragione, può rendersi affidatario diretto di tale contratto. Il divieto di invito o di affidamento nei confronti del gestore uscente può subire deroghe solo in casi eccezionali, e fornendo un onere motivazionale particolarmente stringente. Nell’ambito di tale onere motivazionale assumono particolare rilievo la specifica struttura del mercato che denota assenza di alternative nonché le circostanze legate a un elevato grado di soddisfazione maturato nel precedente rapporto, unite alla competitività del prezzo offerto. 

LE LINEE GUIDA ANAC SUGLI APPALTI SOTTOSOGLIA 
È significativo, come si accennava, che tali regole siano indicate nelle Linee guida Anac, che sostanzialmente interpretano il divieto di invito del gestore uscente come una derivata del principio di rotazione. La mancanza di un’esplicita indicazione in questo senso nella norma consente di operare un’analisi critica delle affermazioni contenute nelle suddette Linee guida. Essa va condotta in maniera distinta in relazione alla rotazione negli affidamenti diretti ovvero nell’ambito dello svolgimento di procedure negoziate, al fine di individuare gli aspetti condivisibili e quelli più critici. 

La rotazione negli affidamenti diretti: la regola
In base alla previsione contenuta all’articolo 36, comma 2, lettera a) è consentito ricorrere all’affidamento diretto per i contratti di importo inferiore a 40mila euro. La norma non contiene alcun riferimento al principio di rotazione. Tuttavia occorre considerare la previsione del precedente comma 1 che parla di «principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti». Di conseguenza la rotazione trova applicazione anche agli affidamenti diretti. Si deve ritenere, seguendo l’impostazione delle Linee guida, che una coerente applicazione del principio di rotazione comporti il divieto di affidare il contratto al gestore (contraente) uscente. Questa indicazione appare ragionevole, essendo diretta a evitare che attraverso ripetuti affidamenti operati sempre nei confronti del medesimo soggetto si consolidino posizioni di esclusiva o addirittura di monopolio. Detto altrimenti, si vuole evitare che l’affidamento di un determinato contratto sia sottratto per troppo tempo alla regola del confronto concorrenziale. 

La rotazione negli affidamenti diretti: i limiti applicativi
Questa regola è soggetta tuttavia ad alcuni limiti, indicati anch’essi nelle Linee guida. In primo luogo per far scattare il divieto di affidamento del gestore uscente vi deve essere identità di oggetto (inteso come medesima categorie di opere, stesso settore merceologico o settore di servizi) tra il contratto precedente e quello oggetto di nuovo affidamento.

In secondo luogo, il divieto opera con riferimento all’affidamento immediatamente successivo, il che implica che il gestore uscente potrà se del caso rendersi legittimamente affidatario di un contratto di cui sia già stato titolare in passato, purché non vi sia continuità tra vecchio e nuovo affidamento. A completamento del quadro occorre considerare infine un’altra indicazione contenuta nelle Linee guida Anac secondo cui ogni ente appaltante può suddividere gli affidamenti in fasce di importo e limitare il divieto di affidamento al gestore uscente unicamente nell’ambito di una medesima fascia. 

La rotazione nelle gare a inviti
Più problematica si presenta l’applicazione del principio di rotazione agli inviti alla procedura negoziata. Rispetto al gestore uscente le Linee guida Anac prevedono che l’invito è di norma vietato e la deroga al divieto riveste carattere eccezionale, essendo legata al ricorso delle particolari condizioni sopra ricordate. Lo stesso trattamento è riservato a chi è già stato invitato alla precedente procedura, anche se non è risultato aggiudicatario. 

La giurisprudenza si è concentrata sull’invito al gestore uscente e, conformemente a quanto indicato nelle Linee guida, ha ribadito la legittimità del divieto di invito. A supporto di questa soluzione sono state generalmente individuate due ordini di ragioni. In primo luogo la necessità – comune anche alla precedente ipotesi dell’affidamento diretto – di evitare il consolidamento di posizioni in violazione del principio di concorrenzialità. In secondo luogo la volontà di evitare qualunque alterazione della procedura, che potrebbe derivare dal fatto che il gestore uscente ha un bagaglio informativo in merito al contratto oggetto di affidamento sicuramente superiore a quello degli altri concorrenti. 

Il concorrente uscente ha una posizione di vantaggio concorrenziale?
La prima motivazione suscita perplessità. Infatti l’eventuale consolidamento di posizione non è il frutto di una scelta discrezionale dell’ente appaltante – come nell’ipotesi di affidamento diretto – ma rappresenta eventualmente l’esito di una procedura concorrenziale in cui il gestore uscente si è confrontato con altri operatori. In sostanza l’eventualità che il gestore uscente si veda rinnovato il contratto è legata a una valutazione della sua offerta che viene messa a confronto con quella di altri soggetti. In questo senso tale rinnovo difficilmente può essere considerato come un illegittimo consolidamento di una posizione, essendo piuttosto il risultato di un’ordinaria dinamica concorrenziale.

Quanto contano le informazioni in possesso del concorrente uscente? 
Quanto alla seconda motivazione relativa al divario informativo di cui il concorrente uscente godrebbe, essa appare debole in relazione alle conseguenze che ne derivano. L’esclusione dalla procedura per il solo fatto di avere un bagaglio informativo più ampio rispetto agli altri concorrenti appare frutto di un peso eccessivo che viene dato a questo elemento. E ciò suscita perplessità considerando che comunque il divieto di invito rappresenta una limitazione all’iniziativa economica privata. 

Conviene impedire alla Pa il ricorso a un operatore che ha lavorato bene?
Oltre a quanto detto occorre inoltre considerare da un punto di vista strettamente operativo che imporre un divieto di invito del gestore uscente significa impedire in via aprioristica all’ente committente di continuare a servirsi di un contraente che per ipotesi ha svolto le sue prestazioni con grande efficacia, soluzione che appare anche contraria ai principi di buona amministrazione. 

È giusto non invitare chi è già stato invitato in passato?
Le perplessità illustrate sussistono – e anzi si accentuano – anche in relazione all’altra ipotesi presa in considerazione dalle Linee guida. Ci si riferisce al divieto di invito nei confronti di chi è stato già invitato nella precedente procedura. In questo caso sicuramente non sussiste la motivazione legata al più ampio bagaglio informativo, ma anche quella relativa al possibile consolidamento di posizioni appare debole, posto che l’invitato alla procedura precedente non è titolare di alcuna posizione contrattuale.

Una rivisitazione del principio di rotazione ? 
L’applicazione del principio di rotazione secondo la lettura offerta dalle Linee guida Anac suscita dunque più di una perplessità. Occorre riflettere se vi siano altre modalità di applicazione, tenendo peraltro presente che il principio in questione non trova spazio nella normativa comunitaria. Si deve ritenere che le indicazioni contenute nelle Linee guida possano essere quanto meno attenuate nella loro rigidità, dando maggiore spazio alle valutazioni degli enti appaltanti nei singoli casi. E in questo senso assumono un valore significativo pronunce come quelle del Tar Campania che, discostandosi dalla giurisprudenza dominante, assumono una posizione non pregiudizialmente contraria nei confronti del contraente uscente.

Fonte: Edilizia e Territorio

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Una riflessione sul D.Lgs. 81/2008 a dieci anni dalla sua emanazione, e sui ritardi in materia normativa. Indicazioni su criticità, importanza e prospettive future dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Fonte: Punto sicuro

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Fuoco incrociato contro l’Ufficio speciale per la progettazione di opere pubbliche, recentemente istituito nella Regione Siciliana. Dopo Inarsind e OICE, anche Architetti e Ingegneri contro la scelta di centralizzare i servizi di progettazione.

Fonte: Lavori Pubblici

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Ok allo schema di Dpcm sulla “riclassificazione” di varie tratte in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Toscana che tornano ad Anas. Per il Piemonte serve più tempo

Accordo fatto, ieri in conferenza unificata, tra governo, regioni e comuni sulla “riclassificazione” di circa 2.800 km, di rete viaria in quattro regioni: Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. In una fase successiva si aggiungerà anche il Piemonte, la cui verifica sulla rete richiede più tempo. Complessivamente, il bilancio chilometrico tra strade cedute e strade acquisite vede l’Anas acquisire (nuovamente) 2.713 km di rete. Cifra che potrà registrare delle variazioni, in seguito a verifiche più puntuali sulle tratte. Peraltro lo stesso schema di Dpcm, approvato ieri, mette le mani avanti, indicando che «eventuali imprecisioni nei dati contenuti nelle tabelle allegate al presente decreto possono essere apportate d’intesa fra le amministrazioni interessate in sede di redazione e sottoscrizione dei verbali di consegna». Dopo l’ok dell’unificata, sul testo dovrà pronunciarsi il Consiglio superiore dei lavori pubblici e anche il Parlamento, attraverso le commissioni competenti di Camera e Senato.

Mit, copertura dal contratto di programma con Anas 
Sulle risorse necessarie a gestire la presa in carico della rete da parte dell’Anas,nei giorni scorsi la Ragioneria aveva chiesto chiarimenti al Mit. Ieri i tecnici delle infrastrutture hanno ribadito che costi aggiuntivi saranno quantificati ex post. «La quantificazione dei maggiori oneri connessi al rientro della rete stradale rientrante dalla Regioni nella competenza di Anas – si legge in un documento del Mit inviato ai tecnici del Tesoro – non potrà che avvenire a consuntivo delle attività previste. Solo successivamente all’approvazione da parte del Cipe dell’atto di aggiornamento del Contratto di programma 2016-2020, ai sensi dell’art. 6, comma 7 del medesimo Contratto, si potrà constatare l’eventuale incapienza della totalità delle somme resesi disponibili ai sensi della legge 3 agosto 2009, n.102 art. 19, comma 9-bis (sul canone da corrispondere ad Anas, ndr), integrate dalle economie derivanti dai ribassi d’asta sugli appalto relativi ai servizi di che trattasi, il cui impiego dovrà essere disciplinato all’interno del medesimo Contratto aggiornato». Secondo il Mit, non c’è, nell’immediato alcun problema di risorse. «A valle delle considerazioni sopra esposte, alla luce delle quali non è immediato quantificare in dettaglio l’impatto finanziario sulla contabilità Anas della gestione delle strade “di rientro” – si legge ancora nel documento del Mit – è necessario sottolineare che i maggiori costi si produrranno solamente dall’esercizio 2019 in poi, posto che i primi trasferimenti di parte della nuova estesa, a favore di Anas, sono stati avviati a decorrere dal mese di settembre 2018». E in ogni caso, questi costi, precisa il Mit, fino al 2020 riguarderanno le sole strade delle 11 regioni che sono già state trasferite con il precedente Dpcm 20 febbraio 2018. 

Le verifiche sulla rete di Emilia Romagna, Veneto e Piemonte
Un primo chiarimento è stato recepito già ieri, correggendo in corsa le tabelle del Mit che riguardavano la rete dell’Emilia Romagna. Per le verifiche in Piemonte serve invece più tempo, anche per risolvere alcune questioni sollevate dai comuni dell’Anci (che hanno chiesto di escludere la Sp 23 dall’elenco delle strade di interesse nazionale) e dalla Città metropolitana di Torino. L’altra verifica ha riguardato il Veneto dove gli enti locali hanno segnalato «criticità» relativamente ai tratti della SR11, della SR14bis e della Sr53, il cui trasferimento «significherebbe – segnalano i Comuni – una riduzione della percentuale di rete regionale riferito al territorio metropolitano del 27,4%». Segnalazioni si cui appunto è stato tenuto conto.

Regioni: rivedere le concessioni del sistema Pedemontano
Dal canto loro, le Regioni hanno chiesto di integrare il trasferimento includendo la strada umbra n.257 Apecchiese e la strada marchigiana n.360 Arceviese. Ieri le Regioni hanno anche sollecitato il governo ad «avviare il percorso operativo per la revisione della convenzione di concessione del sistema viabilistico pedemontano tra Cal Spa e Autostrdada Pedemontana Lombarda Spa attraverso un apposito terzo atto integrativo alla stessa». 

Il Mit: la rete in gestione all’Anas sale a 32.844 km
«Grazie all’intesa raggiunta oggi in Conferenza Unificata, verranno riclassificate come strade di interesse nazionale, e dunque a gestione Anas, 2.713,466 Km di tratte regionali e provinciali. Allo stesso tempo verranno invece declassificati circa 100 km di strade», spiega una nota del Mit diffusa ieri. La nota aggiunge che la riclassificazione ha escluso «le strade di proprietà dell’area metropolitana di Venezia». Complessivamente, tornano alla gestione dell’Anas 872,755 km di strade in Emilia Romagna, 1.075,606 km in Lombardia, 39,827 Km in Toscana e 725,278 Km in Veneto, per un totale di 2.713,466 Km. La rete, ricorda sempre il Mit, si aggiunge ai 3.601,024 Km già tornati sotto la gestione statale con il Dpcm del 20 febbraio 2018. «Con l’intesa di oggi, dunque, la consistenza della rete in gestione Anas passa dai 26.529,385 km al 31/12/2017 a 32.843,875 km». 

LE STRADE RICLASSIFICATE IN EMILIA ROMAGNA 

LE STRADE RICLASSIFICATE IN LOMBARDIA 

LE STRADE RICLASSIFICATE IN TOSCANA 

LE STRADE RICLASSIFICATE IN VENETO (sono escluse quelle dell’area metropolitana di Venezia)

Fonte: Edilizia e Territorio

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Votato dai delegati di 62 Paesi, in vigore il 20 maggio 2019

 

E’ stato approvato il nuovo Sistema Internazionale delle unità di misura (Si): l’ok è arrivato dai rappresentati di 62 Paesi riuniti a Versailles, nella Conferenza generale su pesi e misure (Cgpm), e il risultato è stato accolto con una standing ovation da parte dei partecipanti. I delegati hanno votato a favore dei nuovi parametri che entreranno in vigore il 20 maggio 2019 e che ridefiniscono le sette unità di misura: chilogrammo, metro, secondo, ampere, kelvin, mole e candela.

Lo faranno in termini di costanti fondamentali della fisica, anziché sulla base di oggetti fisici che possono cambiare nel tempo. Si dirà addio, per esempio, al chilogrammo di platino-iridio conservato da 130 anni in Francia, nell’Ufficio Internazionale Pesi e Misure di Sèvres. “Siamo molto contenti perché si innova tutto il sistema”, ha detto all’ANSA Maria Luisa Rastello, direttore scientifico dell’Istituto nazionale di ricerca metrologica (Inrim), unica italiana nel Comitato internazionale pesi e misure che si è riunito a Versailles.

Fonte: Ansa

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Le principali decisioni emesse dal Consiglio di Stato nell’ultima settimana in tema di contratti pubblici, edilizia privata, urbanistica

Appalto pubblico – Revisione dei prezzi – Obbligo per la PA di attenersi all’indice Istat – Deroga – Solo cause straordinarie ed eccezionali – Nuovo CCNL – Aumento degli oneri contributivi – Non è circostanza eccezionale.

La Pubblica Amministrazione deve attenersi all’indice Istat, affinché le operazioni di revisione del prezzo siano conformi a criteri oggettivi anche quanto alla soglia massima, al fine di scongiurare squilibri finanziari nel bilancio, alla stregua della riconosciuta ratio dell’istituto della revisione prezzi, volta a tutelare la prosecuzione e la qualità della prestazione ma, prima ancora, volta a tutelare l’esigenza della Pa di non sconvolgere il proprio quadro finanziario. L’indice Istat segna quindi la soglia massima della revisione, fatte salve eventuali circostanze eccezionali e specifiche – che dovranno essere provate dall’impresa – che possano determinare un discostamento dai criteri oggettivi seguiti in sede di revisione del prezzo lasciando spazio alla discrezionalità amministrativa. Non può rientrare tra queste circostanze eccezionali un nuovo Ccnl (che aumenti i costi dei dipendenti ivi compresi maggiori oneri contributi) soprattutto se stipulato – e quindi conoscibile – al momento della stipula del contratto di appalto e, come tale, costituente una circostanza prevedibile, quindi inidoneo a giustificare una deroga dal limite dell’indice Istat.

Consiglio di Stato , sez. 3, sentenza del 5 novembre 2018, n. 6237

Appalto pubblico – Appalto ad esecuzione periodica e continutativa – Revisione dei prezzi – Proroga – Diritto alla procedure di revisione – Sussiste.

In materia di appalti pubblici, presupposto per l’applicazione della norma di cui all’ art. 115 d.lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) secondo cui tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo, è che vi sia stata mera proroga e non un rinnovo del rapporto contrattuale, consistendo la prima nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario. Sussiste pertanto, il diritto della contraente, a conseguire l’attivazione del procedimento istruttorio volto alla revisione dei prezzi, con applicazione della clausola revisionale di cui all’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006 sugli importi stabiliti nelle proroghe contrattuali.

Consiglio di Stato, sez. 3, sentenza del 27 agosto 2018, n. 5059 

Appalto pubblico – Revisione dei prezzi – Appalti di servizi o forniture – Art. 115 dlgs n. 163 del 2006 – Norma imperativa non derogabile – Inserzione automatica nel bando di gara – Prevalenza sulla norma pattizia difforme – Finalità.

L’art.. 115 del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006) per quanto riguarda gli appalti di servizi o forniture, costituisce norma imperativa non suscettibile di essere derogata in via pattizia, ed è integratrice della volontà negoziale diversa secondo il meccanismo dell’inserzione automatica. La finalità dell’istituto è da un lato quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto.

Consiglio di Stato, sez. 3, sentenza del 20 agosto 2018, n. 4985

Appalto pubblico – Revisione dei prezzi – Applicazione – Presupposti – Mera proroga – Rinnovo del contratto senza gara – Accettazione di una riduzione del prezzo – Applicazione del meccanismo della revisione dei prezzi – Non sussiste.

Il presupposto per l’applicazione dell’istituto della revisione è pertanto la sussistenza di una mera proroga del contratto: ciò in quanto le manifestazioni negoziali di procedere al rinnovo del contratto, anche se di contenuto analogo alle condizioni precedenti, danno luogo a nuovi e distinti rapporti giuridici, in discontinuità con l’originario contratto, che non può essere assunto a parametro di raffronto per la maggiorazione dei corrispettivi a mezzo del procedimento di revisione. In caso di rinnovo trova applicazione il principio giurisprudenziale secondo cui l’impresa, che ha beneficiato di una speciale norma che prevede la possibilità di rinnovo del contratto senza gara in cambio di una concordata riduzione del prezzo, non può poi pretendere di applicare allo stesso contratto il meccanismo della revisione dei prezzi, che condurrebbe ad effetti del tutto opposti rispetto alla pattuita riduzione del corrispettivo.

Consiglio di Stato, Sez. 5, sentenza del 8 agosto 2018, n. 4869

Fonte: Edilizia e Territorio

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Piano di rilancio infrastrutturale, snellimenti procedurali per l’avvio dei cantieri, esclusione automatica delle offerte anomale fino alla soglia comunitaria, appalto integrato sulla base del progetto definitivo. Sono solo alcune delle proposte presentate dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) in audizione presso le Commissioni Bilancio del Senato e della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’esame, in prima lettura, in sede referente, del disegno di legge recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”.

Fonte: Lavori Pubblici

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Impresa 4.0 è stato un grande driver per la ripresa economica ed ha permesso a molte nostre imprese – non solo industriali – di agganciarsi alla Trasformazione Digitale: bene dunque che la nuova manovra confermi le misure di incentivo alle imprese, dando maggiore attenzione alle PMI.

Fonte: Lavori Pubblici

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Tra gli emendamenti presentati dal relatore Emiliano Fenu (M5S) anche il raddoppio della quota Anas sul canone pagato dalle concessionarie.

Una stretta sulla manutenzione delle autostrade in scadenza di concessione, una salvagente contro la revoca dei fondi delle grandi opere finanziate dal decreto Sblocca Italia del 2014 e il raddoppio della percentuale di competenza Anas a valere sul canone che ogni anno i concessionari autostradali devono versare allo Stato.

È quanto prevedono tre emendamenti al Decreto fiscale presentati dal senatore Emiliano Fenu (M5S), relatore della legge di conversione del provvedimento. Il decreto, da convertire entro il prossimo 22 dicembre, è attualmente all’esame della Commissione Finanze e Tesoro di Palazzo Madama.

Manutenzione con gara per le autostrade con concessione scaduta 
Il primo degli emendamenti firmati da Fenu è una norma ponte per le concessioni autostradali scadute (tra queste Autobrennero, Autovie Venete, A21). Con una stretta sui compiti di manutenzione affidati ai gestori uscenti. La modifica prevede, infatti, che anche se le concessioni sono scadute, i gestori devono continuare a investire nella sicurezza delle infrastrutture. «Per le concessioni autostradali già scadute il concedente stipula con il concessionario un atto aggiuntivo, senza il riconoscimento di alcuna proroga della scadenza, che preveda la progettazione e la realizzazione, con procedure ad evidenza pubblica, degli urgenti interventi necessari a garantire il mantenimento e/o l’aumento degli standard di sicurezza». Dunque oltre all’obbligo di continuare a garantire gli standard di sicurezza delle autostrade c’è anche quello di affidare gli interventi con gara, senza possibilità di procedere in house, tramite società di costruzione controllate. Tutto deve passare attraverso un atto aggiuntivo da firmare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Le procedure di gara per riaffidare le concessioni scadute devono partire «contestualmente al perfezionamento dell’atto aggiuntivo».

L’emendamento contiene anche un’altra modifica al codice degli appalti. Viene infatti abrogata l’analoga, ma meno restrittiva, norma ponte prevista dall’articolo 216, comma 27-sexies del Dlgs 50/2016.

Salvagente per i fondi delle opere sblocca Italia 
Un altro emendamento firmato dal relatore riguarda le grandi opere finanziate dal decreto Sblocca Italia (Dl 133/2014) e concede più tempo per appaltare o avviare i lavori senza incorrere nel rischio di perdere i finanziamenti. Tra le opere interessate figurano il tunnel del Brennero, l’Alta velocità Verona Padova, il Terzo Valico, l’asse autostradale Trieste-Venezia, il corridoio ferroviario adriatica da Bologna a Lecce e anche la tratta Colosseo-Piazza Venezia della linea C della metro di Roma, il completamento della linea 1 della metropolitana di Napoli, la tranvia di Firenze e il Quadrilatero Umbria-Marche e anche un adeguamento della Salerno-Reggio Calabria. In particolare si interviene sul prevedendo che le condizioni di appaltabilità e canteriabilità delle opere, a cui in caso di ritardi è legata la revoca dei fondi, si realizzano quando gli adempimenti già indicati con decreto delle Infrastrutture, vengono completati entro il 31 dicembre dell’anno «successivo» (questa è la novità dell’emendamento) a quello in cui le risorse sono rese effettivamente disponibili.

Più fondi alle manutenzioni Anas 
Porta la firma del relatore anche l’emendamento che raddoppia la quota di competenza Anas a valere sul canone che le concessionarie autostradali versano allo Stato. Al momento lo Stato incassa, a titolo di canone, una quota pari al 2,4% dei pedaggi netti (esclusa Iva). È su questo valore che va calcolata la quota a favore di Anas che, grazie a questo emendamento, torna al 42% dopo essere stata abbassata nel 2016 al 21 per cento. Per capire quanto vale questa percentuale si può partire dal valore dei pedaggi netti incassati dalle concessionarie autostradali che, secondo dati Aiscat, nel 2017 sono stati pari a 5,9 miliardi (8 miliardi inclusa Iva e altri oneri). Prendendo a base questo dato si scopre che riportando al 42% la quota di competenza Anas sul 2,4% del canone statale l’ex ente strade dovrebbe incassare 59,9 milioni all’anno contro i circa 30 milioni incassati l’anno scorso.

Fonte: Edilizia e Territorio

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